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Italia un domani senza figli. Un paese che avrà bisogno di immigrazione per non estinguersi
Il libro di Diego Masi, già autore di “Eurafrica, l’Europa può salvarsi, salvando l’Africa?” parlerà di denatalità, declino e forse estinzione di paesi europei un tempo rigogliosi e ricchi. Di come l’Europa perderà cento milioni di cittadini per ritrovarsi, a fine secolo, vecchia, meno potente e con molti paesi in via di estinzione, tra cui l’Italia. Se va bene, perderemo più di 20 milioni di abitanti, se va male 30 e diventeremo metà di quello che siamo ora, passando da ottava potenza del mondo a ventesima, perdendo PIL, ricchezza, servizi, assistenza, sanità. Le nostre donne in età fertile passeranno da 6 milioni di oggi a soli 4 milioni nel 2070, gli anziani saranno pari al 35% della popolazione e su ogni persona “attiva” peserà un bambino e un anziano, con servizi assistenziali impoveriti. Le famiglie per il 60% saranno senza figli o saranno composte da una sola persona. Chi ne avrà, ne avrà uno solo. Famiglie quindi verticali senza più legami e senza più parenti. In un Italia spopolata più al sud che al nord, con le isole dimezzate, con le grandi città svuotate, con la chiusura di metà dei borghi del Bel Paese. Numeri veri. Una catastrofe mai annunciata, taciuta, poco nota. La politica e i governi interessati al breve termine se ne disinteressano. Possiamo cambiare la tendenza, facendo più figli? Offrendo qualche servizio in più ai nostri cittadini come assegni unici, congedi parentali o asili sotto casa? La risposta è tranciante: no, se non in minima parte. Non possiamo fare più nulla per contrastare il fenomeno occidentale della denatalità. Siamo condannati per una scelta culturale irreversibile a fare sempre meno figli. Allora ci resta solo l’immigrazione. Invece di costruire muri o lucrare elettoralmente sulla paura dell’immigrato, dobbiamo costruire ponti. Dobbiamo solo deciderne le modalità: costruire ponti per i flussi spontanei che arrivano dall’Asia o dal Sud America Latina. Oppure, i ponti possono essere pianificati con l’Africa, questo gigante poverissimo e governato in modo dittatoriale, suddiviso in 54 stati, che giace ai nostri piedi e che può rappresentare una via concreta contro l’estinzione del nostro paese. Se capiamo che l’Africa è il serbatoio del prossimo futuro dell’Europa possiamo riuscire a mettere il nostro paese e il nostro continente in sicurezza. Come possiamo farlo? Possiamo costruire con intelligenza sistemi di istruzione, per preparare e poi accogliere immigrati di qualità, formati dalle nostre scuole ed università nei paesi che hanno sottoscritto accordi e che vengono selezionati in base alle esigenze della nostra economia, aiutando anche i loro sistemi democratici. Quindi, riassumendo… Costretti ad accettare l’immigrazione, abbiamo queste vie: Possiamo riceverla contro la nostra volontà sotto la spinta della necessità e della mancanza di forza lavoro. Oppure pianificarla e programmarla, creando le premesse per una accoglienza organizzata ed esportando contemporaneamente democrazia, diritti e libertà. Se invece facciamo finta che la denatalità non è un problema, che è bello stare tra le nostre mura che crollano, che l’immigrazione è un male da combattere e che la “razza bianca” è superiore sperando di lucrare un voto in più, saremo condannati al declino e forse all’estinzione. -
L’umano dell’albero
L’albero è l’elemento che ci svela il linguaggio della natura: ne scopriamo i colori con il suo refrigerio ed il suo mutare; ne afferriamo i suoni con il suo tradurceli in musica; ne intuiamo l’anima attraverso la sua protezione e assistenza. L’albero ci ha insegnato il mondo e ci ha ci ha avvertito e continua ad avvertirci, se ci teniamo, sugli avvenimenti ambientali che ci condizionano. Non è invano se per secoli l’albero ha parlato il linguaggio sacro dell’indicibile/invisibile. L’albero posto com’è nella sua possente erezione, c’insegna il legame o la via dritta fra la terra e il cielo. Nei suoi rami l’albero indica lo slancio dell’orientazione, la perseveranza del dell’intento; nelle verde delle sue foglie, il modularsi della luce e l’assoluto processo chimico della fotosintesi. L’albero con il suo habitat, definisce le ricchezze della biodiversità: esso è la foresta, il bosco, luoghi, cioè, dell’equilibrio dinamico dell’energia del sistema Natura. Il meccanicismo dell’uomo si ostina a sostituire tale sistema con le leggi che risultano dal suo processo mentale, assunto per essenziale: è la matematizzazione dell’universo. Eppure gli alberi hanno popolato e trasformato mari e terre, creando un ambiente che ci consente di vivere e che è la condizione di vita di tutti i viventi. Per questo la trama vegetale è l’espressione più profonda della storia umana; ne contrassegna gli sviluppi, le decadenze, ne condiziona il fatale e tragico destino. Malgrado l’impostazione antropocentrica l’albero, resistendo, continua, per così dire, ad amarci, tutelandoci come può con la sua biodiversità che ancora riesce a correggere gli squilibri provocati dalla pressione antropica. In ciò esso è come un essere superiore, divino, che colto dal sonno misterioso è come pronto a risvegliarsi per venirci a soccorrere. Ma c’è urgenza! Erigere un albero a monumento ci induce alla metafora della gratuità e della necessità, lontano dal finalismo… Allora, ad un certo momento di fronte all’albero, accadrà che l’istante della vita colta nel fiorire, ci apparirà come il pensiero, in assoluta libertà, ma secondo un ciclo di cui la sola identità è la ripetizione a rinnovare il piacere della meraviglia, in ciò riconducendoci al perpetuarsi dell’innocenza infantile.
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